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PENSIERI

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La psicoterapia cognitiva si è da sempre focalizzata sul contenuto dei pensieri delle persone, soprattutto nei periodi di sofferenza.

I nostri comportamenti e i nostri stati emotivi non sono legati tanto all’evento in sé, ma ai nostri pensieri, ossia al modo di interpretare la realtà specifico e differente da individuo a individuo.

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Ad esempio: uno stesso evento come il ritardo di un amico a un evento importante che ci riguarda può comportare emozioni diverse. A tale evento può essere dato il significato di una mancanza di rispetto nei nostri confronti generando un’emozione di rabbia; oppure lo stesso evento può essere letto come una situazione di minaccia, all’amico potrebbe essere successo qualcosa o stare male, comportando uno stato emotivo ansioso; o ancora potrebbe essere interpretato come una conferma di una mancanza del proprio valore, ‘non sono abbastanza importante e non siamo veri amici’, sentendoci tristi … Questo spiega perché una medesima situazione, in base al significato che vi attribuiamo e ai pensieri che facciamo, può provocare in soggetti diversi, o nello stesso soggetto in momenti differenti, reazioni completamente diverse.

 

Alcune volte le cognizioni di un individuo possono essere disfunzionali, cioè pensieri distorti, che non ci aiutano a raggiungere i nostri scopi, che si attivano in modo rigido indipendentemente dai contesti e che producono sofferenza. Il modello cognitivo ipotizza che ci siano pensieri disfunzionali tipici alla base dei disturbi psicologici e che siano responsabili del protrarsi delle emozioni dolorose e della sintomatologia del paziente creando dei veri e propri circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo.

 

Facciamo un esempio: una persona con depressione  pensa di sé: “Sono un fallito!” (pensiero) e

prova di conseguenza tristezza (emozione); la tristezza porta all’apatia e alla passività, che

possono essere interpretate dal soggetto come un’ulteriore prova del proprio fallimento personale,

con pensieri del tipo: “Sto qui senza fare niente, sono proprio un fallito!” (pensiero); tali pensieri

possono a loro vota generare ulteriore tristezza (emozione) e così via.

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La chiave della terapia diventa quindi lavorare assieme al paziente per aumentare la consapevolezza dei pensieri tipici del disagio alla base della sofferenza psicologica, e del suo mantenimento. Interrompere i circoli viziosi e mettere in discussione questi pensieri al fine di ristrutturare le credenze disfunzionali.

 

Negli ultimi anni l’attenzione della ricerca si è spostate dal contenuto disfunzionale dei nostri pensieri alle modalità di pensiero: in che modo una persona in uno stato di sofferenza pensa. In particolare la ricerca ha evidenziato come due stili di pensiero, rimuginio (il pensare in maniera ansiosa e catastrofica agli eventi che possono accadere in futuro) e ruminazione (il pensare in maniera ossessiva a tutti gli eventi negativi passati), contribuiscono al mantenimento e all’aggravamento degli stati emotivi negativi. Indicando come l’azione della terapia debba essere mirata proprio al riconoscimento di tali stili di pensiero e alla loro attenuazione.

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“Gli uomini non sono turbati dalle cose, ma dalle opinioni che essi hanno delle cose”

Epiteto   

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